Scriveva Hermann Hesse che “noi pretendiamo che la vita debba avere un senso, ma la vita ha precisamente il senso che noi stessi siamo disposti ad attribuirle.”
Hesse si riferiva al fatto che ognuno di noi sceglie cosa fare della propria vita, a seconda del senso che le ha attribuito. Secondo quel senso, ci si pone degli obiettivi, si aspira a realizzarli. Ad esempio, nella società occidentale contemporanea molti pensano che il senso della vita sia quello di ottenere il successo sociale, e allora si adoperano per ottenere tutto ciò che rappresenta tale successo: soldi, beni e piaceri materiali, status symbols, fama e onori.
Ma questo senso che ognuno di noi attribuisce alla vita è puramente arbitrario; si tratta di un convincimento personale, che deriva dal carattere e dalla storia personale dell’individuo, ma anche e soprattutto dall’influenza che la società ha su di lui.
Al di là di tali convincimenti personali però, resta la Realtà, che ognuno potrebbe conoscere se si affidasse alla propria esperienza invece che alla volontà di potenza del proprio ego. L’ego desidererebbe fabbricarsi una realtà artificiale, a sua immagine e somiglianza. Ma la Realtà è invece quella che è, ed è la stessa per tutti nel suo fondamento, nella sua essenzialità.
“Tutti gli esseri senzienti soffrono”, disse il Buddha storico, Siddharta Gautama. Questa è la “Prima Nobile Verità” del Buddhismo, mostrata a chiunque dalla pura e semplice esperienza. “Solo il dolore è vero”, scrisse Dino Campana in testa alla sua unica, eccezionale opera poetica.
Il “dolore” non è colpa del mondo, né del fato o di un Dio; né avviene per caso. Il dolore ha origine dentro ognuno di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dalla brama, ovvero dall’insoddisfazione. Pochi comprendono che questo sia l’unico, vero, “senso” della vita, la direzione obbligata equivalente alla seconda legge della termodinamica: spontaneamente, in natura, il calore passa sempre dal corpo più caldo a quello più freddo, e mai viceversa. “È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno” (formulazione di Clausius della seconda legge della termodinamica).
Similmente a quanto avviene nel mondo fisico, avviene anche nel mondo della psiche, come afferma la Tradizione che si potrebbe così sintetizzare: “È impossibile realizzare una trasformazione esistenziale il cui unico risultato sia quello di trasferire sofferenza da un’anima più fredda ad una più calda.”
Se la nostra anima è fredda, ghiacciata, la sofferenza si trasferirà su di essa, proveniente dalle anime più calde, che invece la allontaneranno da sé. Se la nostra anima è fredda, la sofferenza non ci abbandonerà mai spontaneamente, dobbiamo necessariamente provvedere a fare un lavoro su di noi, a scaldarla. Questa è l'”Opera” di cui parlavano gli antichi alchimisti, i chimici dell’anima. E l’Athanor, il forno in cui questa “cottura” si può compiere, è proprio la Vita.
E il “lavoro” che produce “calore”, che scalda l’anima, è l’Amore. La Natura funziona così. Chi vuol vederci altri sensi, altre direzioni, può farlo, può illudersi.
Ma lo aspetta solo la morte termica.