Siamo così cocciutamente convinti di sapere chi siamo, cosa vogliamo, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ma se poi qualcuno ci facesse le domande corrispondenti, noi risponderemmo semplicemente descrivendo il personaggio che abbiamo sempre creduto di essere, ciò che abbiamo sempre creduto di volere, ciò che ipotizziamo sia giusto e sbagliato.
Ma la maggior parte degli esseri umani, in tutte le epoche, in ogni luogo, non ha mai davvero saputo spiegarsi nulla circa queste questioni che possono sembrare così fondamentali. In realtà, in tempi remoti, agli albori dell’umanità, i nostri antenati non se le ponevano proprio. Come qualunque altro animale, anch’essi si limitavano ad annusare l’aria, a guardarsi attorno e ad alzare gli occhi verso il cielo, ad udire il vento fischiare tra le fronde e le onde del mare infrangersi sugli scogli, ad accarezzare la scorza degli alberi, a gustare la polpa succosa dei frutti o il sapore selvaggio della carne cruda. Essi non si chiedevano chi fossero. Semplicemente, lo sapevano. E quando, molto tempo dopo, articolarono i primi linguaggi, diedero a quella conoscenza diretta la forma esteriore di due parole: Aba e Ummum, in Sumero, Ab e Omm, in antico Egizio, Pitar e Mātā, in Sanscrito, Patér e Méter in Greco, Ab e Em in Ebraico. Padre e Madre. Natura, in forma di due manifestazioni concrete. La prima come impulso ad agire, volontà di vivere, fiume in piena. La seconda come forza contenitrice, utero della vita, alveo del fiume.
Poi, più avanti, la psiche umana evolvette, sviluppò forme per rappresentare la conoscenza, per scopi pratici. Ciò portò a migliorare le condizioni materiali di vita, ma quando la conoscenza si rappresenta, essa non è più tale. Divenne Scienza, ossia semplice schema: razionalità. E l’uomo, divenuto “razionale”, iniziò a porsi le grandi domande di cui sopra. A chiedersi chi fosse. Perché in via diretta lo sapeva sempre meno, si sentiva sempre meno Natura via via che passavano i secoli. L’uomo di oggi non sa più chi sia, nemmeno lontanamente, fatte salve eccezioni di individui che hanno fatto lo sforzo di andare oltre gli schemi della cultura moderna, per recuperare la conoscenza primordiale. Ma le masse sono totalmente inconsapevoli. La maggior parte degli esseri umani contemporanei, se li interroghi su chi essi siano, e su cosa sia giusto o sbagliato, e su cosa vogliano, ti risponderanno inventando, senza sapere nemmeno che stanno inventando. Ti diranno cose del tipo “io sono una brava persona”, oppure “io non ho mai odiato nessuno”, e ancora “io voglio essere felice” e infine “è sbagliato far così, è giusto far cosà”. Non hanno la minima idea dell’oscurità che recano dentro, di quel vulcano poderoso e terrificante che è il Padre, lo Yang, e neppure sanno nulla di quel potere meraviglioso e consolante che è la Madre, lo Yin. Carl Gustav Jung cercò di spiegarlo agli occidentali del suo secolo, ma pochissimi compresero.
Perciò soffrono. E ancora più grave, è per questo motivo che non hanno compassione l’uno dell’altro, non sapendo di essere tutti identici, tutti pezzetti di Tutto, tutti figli del Padre-Madre. E ancora oggi, come in tutte le epoche, la Tradizione fa germogliare spighe di conoscenza a chi vuol chinarsi a raccoglierle, pulirle e lavorarle, per farne farina e quindi pane di Vita, e quindi di quel pane mangiarne. Perché qualcuno sempre, in ogni epoca, disse: “Fate questo, in memoria di me”. E anche se noi lo abbiamo crediamo scritto solo in quattro testi di duemila anni fa, in realtà è da migliaia di anni che ciò si tramanda, e questo era il significato dei “sacrifici”, della carne dell’agnello, o del capretto, che veniva mangiata per nutrirsi di una conoscenza che non doveva essere dimenticata. In Grecia il capro si chiamava Dioniso, alcuni Ebrei Greci secoli dopo lo chiameranno Il Cristo, ma esso fu sempre e solo la stessa Conoscenza, la stessa parola vivente da tramandare, condividere e di cui nutrirsi.