Quanta saggezza in Epicuro: “Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto a un male maggiore.”
Ognuno di noi crede che agendo come agisce, ne ricaverà gioia, dove tale gioia oggi si misura in successo sociale e possibilità di acquisire beni materiali. La trappola in cui si cade, di cui parla Epicuro, non consiste nel fatto che a volte le nostre azioni non sono tali da procurarci ciò che ci aspettiamo, ma piuttosto nel fatto che ciò che ci aspettiamo cercando la gioia, se pure lo raggiungiamo, sarà solo sofferenza.
Noi invidiamo il successo sociale e i beni materiali a chi li detiene, perché pensiamo che costoro grazie a questi beni gioiscano, e quindi non soffrano. Ma noi non abbiamo esperienza di tali condizioni, e quindi non sappiamo quale sia la Realtà: coltiviamo solo la nostra immaginazione, credendo che ottenere tali beni sia preferibile a qualunque altra condizione, che a paragone consideriamo “male”. Ma Epicuro stesso, così come già il Buddha Shakyamuni secoli prima di lui, e Gesù detto il Cristo secoli dopo di lui, aveva già spiegato benissimo l’inganno, la trappola del cercare la “gioia”. Egli spiegava che il Benessere non consiste in uno stato di esaltazione dei sensi, di ebbrezza, di soddisfazione, ma nell’esatto opposto: ciò che dà davvero piacere all’anima umana è lo spegnimento di quel fuoco chiamato Sofferenza.
“Il limite estremo della grandezza dei piaceri è la rimozione di tutto il dolore. Dove sia il piacere, e per tutto il tempo che vi sia, non vi è posto per dolore fisico, o dell’anima, o per l’uno e l’altro insieme.”
L’aponia e l’atarassia: il non soffrire nel corpo e il non esser turbato nell’anima. Da millenni i saggi lo tramandano: e noi oggi che neppure conosciamo i loro insegnamenti nemmeno per sentito dire, siamo già in trappola prima ancora di iniziare il cammino della vita, scambiando per piacere l’estrema sofferenza, e praticando quest’ultima per tutta la durata della nostra vita.