“Siamo figli delle stelle e Pronipoti di sua maestà il denaro\Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare\Quei programmi demenziali con tribune elettorali….\A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata\A Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie\Uh! Com’è difficile restare calmi e indifferenti\Mentre tutti intorno fanno rumore….\Quante stupide galline che si azzuffano per niente…\E sommersi soprattutto da immondizie musicali.”
Inizi degli anni 80. La mediocrità, il Nullismo intellettuale artistico è già definitivamente assestato, nascono “star” ogni giorno, per aver creato un motivetto commerciale o per aver fatto una comparsata televisiva. E ancora, si badi bene, non era iniziata l’epoca di “Maria”, dei “talent”, che avrebbe fatto assurgere a idoli delle masse ragazzini della porta accanto che cantano come cantereste voi sotto la doccia, o strimpellano la chitarra esattamente come vostro figlio. Fenomeni che devono durare lo spazio di una stagione, giusto per far nascere in voi, ed anche in vostro figlio, la brama incontenibile di esibirsi e “divenire famosi”.
Ma un vero artista come Franco Battiato, profondamente colto, dotato di autentico talento sorretto dallo studio e dalla preparazione musicale vera, ha la sensibilità e il genio di vedere con chiarezza, già quarant’anni fa, lo squallore di una società senz’arte, senz’anima, vuota. Il Nullismo, quello Rosa, delle stupide galline che si azzuffano per nulla, per coprire col loro starnazzare il rumore della corruzione, cioè di quelle altre galline di facili costumi che riempiono i “Parlamenti”, divenuti i pollai della democrazia. Quanto letame sarà gettato su Battiato per quella frase cosi “politicamente scorretta”, così “sessista”, che dimostrò con la forza dell’evidenza come il “politicamente corretto” e la “correttezza di genere” servano solo a coprire la verità: uomini e donne, di ogni età, di ogni estrazione sociale, in questa società del nulla si prostituiscono quotidianamente nell’attesa di ricevere qualche briciola che cada dalla tavola del Padrone, e uniformano le loro voci a quella del Padrone.
Una frase che dimostrò che le parole non hanno “genere”, ma significato, che non sta certo nella desinenza, e che il Poeta le sa usare nel modo corretto perché le usa nel loro vero significato e non in quello che vorrebbe dare loro la voce del Padrone. Un Padrone che è dentro ognuno di noi, nell’avidità che è cresciuta in ognuno, nella voglia di esibirsi e di avere successo, e di invidiare chi si esibisce ed ha successo più di noi. Un Padrone che non ha altro nome se non quello di Umanità Decaduta, e l'”artista” è diventato uno che “si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero.”
Per questi motivi, già in quegli inizi di anni ’80, sul ponte della Società Umana, sventolava già bandiera bianca, quella del Saggio che sa vedere il marciume del luogo in cui abita, e senza nasconderselo lo riconosce. La frase è ispirata dal poeta Arnaldo Fusinato e dalla sua poesia “Ultime ore a Venezia”, che parla della resa della serenissima repubblica all’esercito austriaco. Perché l’arte, quella vera, non si fa con le frasette demenziali, con qualche stereotipo che catturi l’applauso. Si fa con la fatica di cercare, con la passione, e soprattutto col talento, che se non lo possiedi, non potrà mai insegnartelo, e tanto meno “scoprirtelo”, nessun “talent show” e nessuna Maria, a meno che non si trattasse della Madonna in persona.
E per fortuna, quella bandiera bianca sventolata dal Saggio, dal Poeta, non simboleggia mai una resa, ma la coscienza, la consapevolezza che permette ai rimanenti artisti e ai rimanenti esseri umani di mantenersi tali, di prendere le distanze dalla cultura del nulla, e di fare sopravvivere, anche in forma poco visibile o sotterranea, quel bene prezioso chiamato Cultura Umana.