COMPASSIONE O CON SUPERBIA?

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Il pensiero “tradizionale” distingue due principali forze operanti all’interno della psiche, una “attiva” che funziona come energia vitale e che ci spinge ad agire, aldilà di ogni possibile freno inibitorio, e una “passiva” che cerca di contenere tale energia vitale in quei casi in cui essa si configuri come fonte di danno, piuttosto che di benessere.

I taoisti chiamano Yang la prima forza, e Yin la seconda. Ma di esse parla tutta la Tradizione, da Platone che le simboleggiava con i due cavalli, quello nero e quello bianco, nel suo mito dell’Anima, ad Eraclito che le designava come gli “opposti” che erano facce diverse della stessa unità, alla tradizione ebraica che le rappresenta come i due pilastri del tempio di Salomone, per arrivare in tempi moderni alla psicanalisi, per i quali esse sono l’inconscio (l’Es di Freud, quello “collettivo” di Jung) e l’ego.

Tutta la Tradizione è storia di insegnamento di come sia necessario che lo Yin, la forza passiva, agisca come guida dello Yang, la forza attiva, affinché la psiche equilibrata raggiunga un benessere esistenziale.

Eppure noi oggi, malgrado millenni di insegnamento tradizionale, siamo arrivati ad avere costruito una società che sembra ignorare persino i principi più basilari di tali fondamentali insegnamenti, che erano basati, si badi bene, solo e soltanto sull’umana esperienza condotta nella concreta quotidianità del vissuto, e non su arbitrarie speculazioni.

Noi oggi assistiamo continuamente ad esibizioni, a volte addirittura clownesche, di esseri umani che non riescono minimamente a contenere il loro “Yang”, quella forza che li spinge ad agire per godere dell’azione, come fa il bambino quando gioca ed è felice di giocare. Ma sotto la spinta di quella stessa forza vitale, il bambino spesso inciampa e cade, ed allora dovrebbe intervenire l’ego razionale, sotto forma di Yin, a fargli fare tesoro dell’esperienza e a contenere quell’impulso irrazionale, guidandolo verso più saggi (leggi equilibrati) comportamenti. Ma in molti esseri umani moderni l’ego sembra non volere più intervenire, rinuncia a prendersi cura dello Yang come un genitore dovrebbe fare col figlio. Ci ha rinunciato perché intorno all’essere umano moderno si è costruita una visione sociale, una cultura che spinge all’irresponsabilità e alla dissennatezza, camuffando questi due dannosi atteggiamenti con l’accattivante parola “libertà”.

Un ego che non vuol far più la guida, la luce della ragione, non è più il taoista Yin che equilibra lo Yang. Piuttosto è un ego spento, inutile, che sviluppa semplicemente un sentimento che la Tradizione definisce “Superbia”, una parola che deriva dal termine latino “superbus”, formato da “super” (“sopra”) e “bus” (“forza”). Il superbo vuole esibire la propria posizione di superiorità sull’altro con la forza, non solo quella fisica ma spesso quella psicologica e verbale. La superbia è espressione di un ego vuoto, privo di senno, che non sapendo guidare il proprio Yang, cerca di difendere sé stesso con la pretesa di essere superiore all’altro e quindi di avere diritto a comportarsi liberamente in virtù di tale presunta superiorità.

La frase preferita del superbo è “fai come ti dico io, fidati” che è tentativo di assumere il controllo della situazione pur non avendo alcuna capacità nemmeno di controllare il proprio stesso inconscio. La superbia è un meccanismo, in fin dei conti, di disperata difesa di un ego arroccato in posizioni di retroguardia e assediato da un inconscio che non gli lascia scampo. Lacan spiegava giustamente attraverso la superbia gli atteggiamenti aggressivi, e la caratterizzava sinteticamente come una sorta di “culto di sé stessi” che ha come sintomi più comuni il disprezzo dell’altro (“Superbia, omnes despicio”, tramanda la Tradizione, “la superbia disprezza tutti”), l’atteggiamento del “giusto vittima e perseguitato dalla società” e molto spesso il cinismo, l’asocialità e, in ultimo ma non da ultima, la frustrazione esistenziale.

La saggezza antica, invece del “fai come ti dico io, fidati”, diffondeva l’insegnamento della compassione, che è l’autentica espressione dello Yin, la parte per l’appunto “passiva”, nel senso che accetta il sacrificio, la responsabilità di contenere lo Yang. Il sacrificio del genitore, che uccide sé stesso per il figlio, per il benessere dell’altro. E per far questo, patisce “con” il figlio, insieme a lui, piuttosto che dirgli “fidati”. Lo Yin propone aiuto, sostegno, esercitati attraverso la luce della ragione, l’esempio pratico, e non l’arroganza della superbia.

Oggi la superbia si propone come atteggiamento comune in chi vuol fare addirittura “politica”, e vorrebbe amministrare gli altri quando non sa neppure amministrare il proprio Yang, la propria energia vitale. Vedere così tanta gente, specie quella con velleità politiche, esibirsi sui social decantando i propri meriti, facendo la morale agli altri, mostrandosi buoni-bravi-belli col racconto della buona azione del giorno, della denuncia-delazione del giorno, dell’offesa subita del giorno, è spettacolo di grande tristezza.

Ad essa la Tradizione insegna a reagire con compassione, e non con altra superbia. Perché ciò che vediamo di male negli altri, è solo l’immagine del male che noi stessi abbiamo dentro.

Ma la Tradizione ci esorta anche a non fidarci neppure dei suoi stessi insegnamenti. Ci invita ad ascoltare, riflettere con la nostra testa, e formarci da noi stessi le nostre convinzioni. Perché la Tradizione non diffonde la superbia, ma la compassione.

About Post Author

Domenico Rosaci

Domenico Rosaci è Professore Associato di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni, e conduce ricerche nel campo dell'Intelligenza Artificiale. E' autore dei saggi sull'esoterismo "Arcana Memoria" e "Il Labirinto del Cristo" e dei romanzi "Il Sentiero dei Folli", "La Zingara di Metz" e "I Fiori di Tanato", pubblicati da Falzea Editore.
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