Rapporto annuale per il 2020 dell’ISTAT. Un’Italia in cui non si nasce più, e che nelle previsioni rischia l’assoluto tracollo demografico. Secondo alcune simulazioni, afferma l’ISTAT, la paura e l’incertezza causate dalla pandemia porteranno entro il 2021 a un calo di 10mila nuovi nati.
Ma non c’era bisogno di attendere il Covid-19 per rilevare una tendenza verso una società e una cultura che sembrano destinate a scomparire. Una società che ha adottato in toto i disvalori e lo stile di vita consumista, per la quale ha importanza soltanto l’affermazione sociale, in termini di soldi, posizione lavorativa, quantità di “cose” possedute e soprattutto di “cose esclusive” (volgarmente chiamate con consueta mania anglofona “status symbol”).
Ma è un cane che si morde la coda. L’ambizione alla “realizzazione” si confronta con un’Italia in cui si è fermato del tutto l’ascensore sociale, in pratica la speranza di migliorare la propria condizione economica, rispetto alla famiglia di origine. Anzi, si legge nel rapporto ISTAT, per il 26,6% dei nati nell’ultima generazione (1972-1986) l’ascensore è diventato “mobile” verso il basso e supera, per la prima volta, la percentuale di coloro la cui posizione sociale si muove verso l’alto, cioè il 24,9%. Insomma l’ascensore sociale oggi per buona parte della popolazione non è più ascendente, ma discendente.
Ciò causa sempre maggiore frustrazione, e quindi stati squilibrati della psiche, quali depressioni, isterie, turbe della personalità. Ciò porta la gente a ripiegarsi sempre più narcisisticamente sulla propria sfera egoica, aumentando l’incapacità a relazionarsi correttamente e costruttivamente, disgregando ulteriormente il tessuto sociale, continuando sempre di più a illudersi che alla propria sofferenza si possa sfuggire inseguendo sogni di realizzazione materialistica.
Non è solo demograficamente che la società italiana non cresce più. L’Italia, come del resto l’intero Occidente, non produce più valori, idee, rinnovamento sociale. L’unica forma di coesione che si nota, e il rapporto ISTAT lo sottolinea come dato positivo, è la fiducia nelle istituzioni che vengono percepite come “protettive” e unico baluardo al completo disorientamento. Se ciò risulta comprensibile nella situazione di generale smarrimento in cui si vive, è però a mio avviso piuttosto un ulteriore dato negativo. Gli italiani non mettono in alcun dubbio il proprio sistema organizzativo, l’apparato di potere che li governa e su cui essi non hanno il minimo controllo, l’etica e la morale contemporanea. C’è una generale, passiva convinzione che questo, nonostante tutto, sia il migliore dei mondi possibili. Ciò blocca ogni possibilità di cambiamento, mette le masse in completa balia di chi detiene il potere economico, ed è probabilmente il fattore di degrado sociale più grave.
L’illusione maggiore è coltivata da quella grande massa borghese plasmata dalla scuola e dalla televisione degli ultimi quattro decenni, priva di educazione alla conoscenza, ignara del passato che considera genericamente “negativo”, convinta astrattamente di essere “civile” e “progressista” senza peraltro comprendere minimamente le problematiche reali della società in cui vive, e continuando a “sperare” in un futuro migliore fatto di hashtag quali #andràtuttobene e #vogliamocibene che non sono altro che la moderna traduzione della ottimistica e buonistica visione di quel Cristianesimo clericale (che non c’entra nulla peraltro con l’autentico messaggio dei Vangeli) che aveva già fatto evolvere in questa direzione, per secoli, la società occidentale.
Quel poco di tessuto familiare che ancora rimane, e lo mette sempre in rilevo l’ISTAT, è l’unico baluardo a cui gli italiani, soprattutto i giovani, continuano ad appoggiarsi, ma oramai da disperati. Perché quel tessuto non ha più pressoché ricambio, e perché anche in quel po’ di famiglia rimasta, aumentano le incomprensioni, l’incomunicabilità, le divisioni suggerite dalla tendenza all’egoismo e al narcisismo.
Ovviamente, e per fortuna, c’è sempre chi resiste al degrado e cerca di muoversi in controtendenza, comprendendo l’importanza di coltivare valori autentici quali relazioni interpersonali sincere, solidarietà sociale, sentimenti affettivi, crescita intellettuale e progresso culturale.
Ma ormai tali persone sono ristrette a una ristretta nicchia ecologica, e seppure riescono a mantenere su corretti binari la propria esistenza individuale, incidono minimamente sulle scelte delle masse, che ormai identificano il “progresso” soltanto nel buonismo “radical chic” e nelle avanguardie dei valori fasulli del consumismo, quali sono il falso femminismo e i movimenti ispirati alle teorie gender (in realtà movimenti per diffondere artificiali divisioni sociali creando arbitrarie categorie di “buoni” e “cattivi”), le false lotte per i diritti dei deboli e degli oppressi (in realtà contributi allo sfruttamento di questi ultimi) e soprattutto il falso intellettualismo che sviluppa e diffonde falsa scienza, falsa etica e in genere falsa conoscenza.
Del resto, quella che viviamo è semplicemente un’epoca come un’altra, seppure caratterizzata da una straordinaria tendenza al disfacimento. Non è la prima epoca di degrado culturale che l’umanità abbia vissuto, e non sarà probabilmente neppure l’ultima. Le “crisi” sono inevitabili e necessarie alle società, almeno quanto ai singoli individui, e spesso sono da interpretarsi come efficaci e salutari cambiamenti di pelle.
Ciò che pare abbastanza evidente a mio avviso, è che qualunque progresso sociale si possa immaginare, si realizzerà con la scomparsa della cultura occidentale in generale, e di quella italiana nel particolare. La distruzione progressiva e sistematica del nostro patrimonio linguistico, con l’abbandono via via sempre più completo della lingua italiana come si è formata in secolare tradizione, è oramai un progetto in fase conclusiva, a cui hanno contribuito enormemente la pessima educazione diffusa da scuola e mezzi di comunicazione di massa.
L’Umanità, come è probabile vista la sua intrinseca ricchezza di specie, continuerà ancora ad esistere, sviluppando resistenze ed anticorpi a questa cultura del nulla contemporanea, nei tempi e con i modi opportuni.
L’Italia, l’Europa e l’Occidente intero, ormai simili a pallidi soli al crepuscolo, credo che siano invece a un capolinea obbligato, e in qualche modo probabilmente necessario.