Preciso, visto che mi viene spesso chiesto, di non avere alcun interesse in quell’attività sociale finalizzata a determinare l’amministrazione della cosa pubblica per conto di interessi privati, chiamata “politica”, in modo a mio avviso mistificatorio, cioè utilizzando un termine che in passato denotava l’interesse per amministrare nel modo migliore il bene comune per conto dei cittadini, ovvero un interesse oltremodo nobile.
Ovviamente sono perfettamente a conoscenza che molti soggetti “politici” attualmente operanti affermano di muoversi ancora con finalità orientate al pubblico benessere, e di essere indipendenti da interessi privati. Ne prendo atto, così come però devo prendere atto che esiste un sistema di leggi, che delega la politica ai partiti, e che rende a mio avviso impossibile che qualcuno, anche sinceramente onesto, possa in tale sistema amministrare per conto della gente e non degli interessi privati, in quanto mi pare evidente che da tempo immemorabile i partiti non siano altro che meri centri di gestione del potere, che competono e collaborano, a secondo dei casi, solo per acquisire il potere necessario a operare per conto dei soggetti privati che sono i reali padroni del sistema.
Naturalmente questo è solo ciò che sembra a me, ed io ho totale rispetto per chiunque pensi che “politica” abbia ancora l’accezione classica, e anche per coloro che intendano intraprendere ruoli attivi nei quadri dell’amministrazione pubblica, così come per gli elettori che vanno a votare dichiarandosi in buona fede.
La mia modesta opinione si rifà a quella espressa, nel 1943 a Londra, dalla filosofa Simone Weil nel suo “Manifesto per la soppressione dei partiti politici “. Le sue parole rispecchiano perfettamente il contenuto del mio pensiero, e valgono molto di più di qualunque ragionamento che io mi sforzi di esprimere.
«La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.»
Sottolineo che questa era anche l’opinione di Rousseau, che considerava la politica fondata sui partiti come non democratica, e che questo pensiero ispirò anche quello dell’imprenditore italiano Adriano Olivetti, a mio avviso uno dei personaggi di maggior rilievo del nostro secondo dopoguerra.
Avendo tale opinione, l’unico contributo potenzialmente valido che io credo si possa dare al miglioramento della collettività, è quello di diffondere e discutere idee per un ritorno alla politica intesa in senso classico, fondata sugli uomini e sulle loro idee e non sui partiti intesi come centri di potere. Mi rendo anche conto che molti vedranno questa attività, a loro dire limitata “solo” alla dimensione culturale, come praticamente inutile o quasi. Inutile lo è certamente rispetto alla possibilità di arricchirsi personalmente e materialmente. Io la ritengo invece (ma è certamente possibile che sbagli) come l’unica possibile attività che abbia a che vedere con la costruzione di una Polis, intesa come collettività di soggetti umani coscienti, dialoganti, ricchi di valori umani e desiderosi di esprimerli attraverso l’originalità del proprio pensiero libero.
L’auspicio (non la speranza o l’aspettativa, sottolineo di non avere né l’una né l’altra) è quello che un giorno la collettività umana possa darsi un sistema migliore per governarsi, ed è in quest’ottica che dovrebbe operare con forza e convinzione chi oggi cerca di fare cultura, piuttosto che partecipare, attivamente o passivamente come elettore (e magari infervorato seguace di talk show televisivi e sondaggi demoscopici), al mantenimento del presente sistema.